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Vogliamo tutti la stessa cosa: STradE, gli editori che non pagano e gli editori che pagano

pubblicato il in Comunicati 2015

L’antefatto è già noto a molti. Un venerdì di maggio lo scrittore anglo-indiano Hari Kunzru scrive su Twitter che l’editore milanese Isbn non ha mai versato l’anticipo pattuito per la pubblicazione del romanzo di sua moglie Katie Kitamura; il romanzo è stato tradotto da Vincenzo Latronico ed è uscito in Italia – solo in versione e-book – nell’autunno del 2014 con il titolo Knock-out. Il tweet di Kunzru viene rapidamente ripreso da autori e traduttori, e la palla di neve diventa una valanga diretta soprattutto contro il co-fondatore e direttore di Isbn Edizioni Massimo Coppola. Si può leggere un primo resoconto della vicenda su Wired Italia, a firma di Paolo Armelli, o il bell’approfondimento (e allargamento di prospettiva) che vi dedica Christian Raimo sul blog Minima&Moralia.
Dunque, da giorni i traduttori editoriali twittano come mai prima. Twittano in quanto creditori di Isbn o di altre case editrici; oppure per solidarietà con i colleghi; discutono della questione tra loro – ma anche con redattori e persino editori – sulle mailing list professionali e su Facebook; si scambiano i link ai vari articoli che compaiono on-line e, naturalmente, si chiedono se Strade, l’unica associazione professionale italiana con la specifica missione di rappresentare i traduttori letterari, abbia preso una posizione.
Sì: Strade lo ha fatto il 12 maggio, intervenendo con il tweet che potete leggere qui, comprensivo di legittime critiche. Ribadiamolo: il sindacato è al corrente della morosità di questo editore – peraltro non il solo – da un anno e mezzo, e fin da allora si adopera all’interno e all’esterno per mettere in contatto tra loro, e con il suo legale convenzionato, i colleghi che sentono la necessità di passare alle vie legali e devono essere assistiti. Cosa che vale anche per i colleghi non iscritti. Ma più di questo, allo stato, il sindacato non può fare.
Imboccare la via che prevede ricorso al giudice, decreto ingiuntivo, notifica al debitore, consolidamento, titolo esecutivo, precetto, pignoramento… è una decisione difficile; è costosa, non ha un esito garantito, e può essere presa solo dal singolo traduttore. Il sindacato non può avanzare pretese presso il committente, e tanto meno intentare cause, al posto suo. Non manca certo la volontà: mancano gli strumenti di rivalsa collettiva, anche quando il medesimo editore deve soldi a cinque, dieci, venti collaboratori. Perciò Strade, mentre fa ogni giorno il suo dovere di formare e informare i traduttori editoriali su norme e diritti, ha stretto una convenzione con uno studio legale specializzato disposto ad ascoltare tutti, non solo i suoi soci. Di recente, inoltre, insieme al Sindacato Lavoratori della Comunicazione che fa capo alla CGIL, Strade ha potuto aprire presso la Camera del Lavoro di Milano uno Sportello di orientamento dove i traduttori nei guai con la committenza morosa possono ricevere una prima consulenza legale, gratuita per gli iscritti e offerta dietro donazione a tutti gli altri, che li aiuti a capire meglio la propria situazione e a prendere una decisione sull’opportunità di un’azione legale. Lo Sportello milanese è il primo in assoluto, ed è aperto a tutti i lavoratori della filiera editoriale.
Veniamo invece alle “campagne”. Se con questo termine si intendono pubbliche denunce, Strade in quanto associazione le campagne non le ha mai fatte e continuerà a non farle. Tra i principî-cardine che il sindacato si è dato fin dall’inizio della sua storia c’è il rispetto: verso tutti i colleghi traduttori e gli altri lavoratori della filiera editoriale; verso le varie associazioni più o meno contigue per oggetto e attività; e infine verso le controparti, cioè le imprese editoriali grandi e piccole. Lo abbiamo già detto e lo ribadiamo: quando è possibile, Strade ha cercato e cercherà il dialogo, la trattativa.
È successo l’anno scorso con l’editore Voland: la casa era disponibile, Strade-SLC hanno trattato un piano di rientro dai debiti, il piano è stato pienamente rispettato, la casa editrice è ancora in attività e noi non possiamo che augurarcene il successo. Sta succedendo adesso con Isbn: lo studio legale convenzionato assiste già quattro colleghi, ha offerto un primo parere (ricordiamolo ancora: gratuito) ad altri, si coordina con diversi legali scelti da altri colleghi ancora e, soprattutto, è disponibile oggi e in futuro a trattare con l’editore un piano di rientro per i traduttori, anche a piccole rate costanti, purché la controparte offra prove tangibili della propria volontà di risolvere la questione. Possiamo aggiungere che il nostro legale convenzionato ha seguito anche quattro traduttori coinvolti nel fallimento Rumbolo (ex Marco Tropea), ne sta assistendo due nel fallimento Zandonai e otto nel fallimento Baldini Castoldi Dalai Spa. Si tratta, specie negli ultimi due casi, di fallimenti molto gravi, dall’esito ovviamente incerto e comunque lontano nel tempo.
Il problema vero è che nessun traduttore editoriale può mai essere sicuro che verrà pagato nei tempi stabiliti dal contratto che ha firmato. Quel contratto può essere formalmente rispettoso delle norme vigenti e stabilire, fra l’altro, il compenso pattuito per la traduzione e la scadenza temporale entro cui il committente dovrà versarlo: ma ciò non significa che il giorno stabilito il traduttore si troverà il bonifico sul conto, come ragionevolmente si aspetterebbe. Questa appare come l’eccezione. Al punto che i traduttori si confidano in segreto, come carbonari, i nomi degli editori che pagano. Prima che in tempi rapidi, prima che a compensi dignitosi. La regola – tristemente confermata dalle eccezioni, valida anche quando le traduzioni sono finanziate per intero da istituti di cultura esteri, e valida anche per i più grandi gruppi editoriali del Paese – è che la scadenza da contratto non vincola l’editore in alcun modo, e serve solo a ricordarsi quando si dovrà cominciare a sollecitare il pagamento. Con un’e-mail o una telefonata, trascorse una o due settimane dalla data famosa. Troppo spesso quell’e-mail e quella telefonata sono solo le prime di una serie che può diventare lunghissima; troppo spesso 120 giorni diventano 150, 180 o più; troppo spesso ci si sente opporre pretesti, per allungare ancora i tempi, talmente banali da risultare offensivi; o toni arroganti che mai tra professionisti ci si dovrebbero permettere; o semplicemente il silenzio.
Abbiamo scritto di eccezioni, e lo ripetiamo segnalando in negativo il titolo riservato da un quotidiano nazionale alla vicenda Kunzru-Isbn, che diceva: «Gli editori italiani? Non pagano mai». Questo titolo è sbagliato e fuorviante, perché gli editori corretti, precisi e puntuali ci sono. Non sono tutti “grandi”, né tutti “ricchi”; stanno sullo stesso mercato degli altri; pubblicano libri di qualità; sono presenti a fiere e convegni di settore; e pagano i traduttori puntualmente. Senza farsi sollecitare. Non per bontà di cuore, ma perché sanno che #lacorrettezzapaga; sanno che questo comportamento rappresenta un vantaggio competitivo in termini di fiducia, di traduttori e collaboratori che lavorano meglio, di fama positiva che arriva fino ai lettori. Qualità del lavoro significa qualità del prodotto: perché in editoria questa consapevolezza è così poco diffusa? Perché l’eccezione della correttezza fatica tanto a diventare regola?
Proviamo a parlarne insieme. Lo scorso ottobre, in sede di rinnovo del contratto collettivo nazionale del settore, imprese editoriali e organizzazioni sindacali si sono impegnate, tra l’altro, a varare un convegno sugli “Stati generali dell’editoria”, per sensibilizzare pubblico e istituzioni sull’importanza del comparto per la vita democratica del Paese e sulla necessità di assicurare un futuro professionale ai lavoratori che vi si adoperano. Facciamolo: parliamo tra noi. Tra autori, traduttori, redattori, editori che non pagano mai in tempo, editori che rispettano sempre le scadenze, editori del primo tipo che vorrebbero non solo sopravvivere, ma anche diventare del secondo tipo. Vogliamo tutti la stessa cosa: vivere dignitosamente di libri fatti bene. Se imprese e lavoratori editoriali trovassero un’intesa limpida e stabile sulla qualità del lavoro librario, forse potrebbero anche presentare un fronte più compatto e poderoso alle istituzioni, che a un certo punto dovranno essere chiamate in causa. Ma prima, non sarebbe una prova di maturità e di coraggio guardarsi negli occhi, noi che facciamo i libri, e provare a cambiare tutti insieme il modo in cui li facciamo?

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